La famiglia per un bambino indubbiamente ha un ruolo insostituibile: educativo, terapeutico, di sostegno, di collaborazione, di coordinamento, di socializzazione , dispensatore di amore e di perdono…e la lista potrebbe continuare.
Ma COME VIVE una famiglia di un bambino con ADHD ? Solitamente è una famiglia:
– con un problema importante
– spesso incompresa
– spesso emarginata
– spesso sola
– spesso etichettata
– spesso incolpata
– spesso frustrata – in alcuni casi, o per certi periodi, “non è una famiglia”.
Le caratteristiche che contraddistinguono queste famiglie sono più o meno stressanti a seconda delle seguenti variabili:
- Uno o più figli affetti da ADHD
- Livello di gravità dei sintomi
- Presenza di comorbilità associate
- Presenza di un genitore affetto da ADHD, o da altri disturbi psichiatrici
- Precoce o ritardata diagnosi
- Precoce o ritardato intervento terapeutico multimodale
- Intervento limitato al bambino, o allargato alla famiglia nel complesso
- Livello socio-economico e d’istruzione
- Posizione geografica
- Sostegno e aiuto concreti.
Cosa si chiede ad una famiglia con un bambino ADHD?
– di essere una famiglia
– di intervenire e interagire nel percorso diagnostico
– di interagire nel percorso scolastico
– di interagire nel percorso terapeutico e riabilitativo
– di farsi carico dei problemi del bambino
– di essere scientific-parents
– di essere sempre presente
– di mediare i suoi rapporti col mondo esterno
Può fare tutto questo la famiglia da sola, senza supporto, senza aiuto, senza comprensione?
Se l’aiuto potrà venire dall’ informazione, il supporto potrà riceverlo e darlo solo con la comprensione che l’ADHD:
- è un disturbo reale
- è un disturbo invalidante
- non è il disturbo del momento e tutto passerà
- è un disturbo che necessita dell’interazione di varie figure professionali
- è un disturbo che necessita di una terapia multimodale e con la presa in carico globale del bambino e della sua famiglia.
Dr. Raffaele D’Errico- Pediatra
“Chi non trascorre tutta una giornata con un bambino con ADHD, o depresso ,o schizofrenico, o autistico, o Down, o dislessico non può capire fino in fondo di cosa ha bisogno quel bambino e quel genitore.”
(P.R. Silverman, “I gruppi di mutuo aiuto”, Erikson 1993).